Diego Gibogini nasce a Pombia il giorno di Pasqua del 1928, da genitori contadini, primo di tre figli. Trascorre l’infanzia e l’adolescenza immerso nella vita semplice della campagna, in un grande cascinale, attorniato da gente umile e laboriosa, lasciandogli un segno profondo per tutta la vita. Lui stesso ci ha lasciato infatti scritto che “I ricordi della mia prima mezza dozzina di anni, oggi si presentano fievoli e confusi. Solo strascichi di bei ricordi di bimbo di campagna, vissuto in quel periodo di tempo in una grande casa e a continuo contatto con la natura”. Non denigrerà mai quel periodo “povero”, ma “ricco” di bagaglio umano e colorati ricordi fatti di grano maturo, polenta cotta sul fuoco del camino della grande cucina, racconti serali nella corte della cascina, dove tutte le famiglie si radunavano alla fine della dura giornata. Le corse nei campi con gli amici, i giochi nel fienile, il lavoro con gli adulti, sotto il sole cocente dell’estate e al freddo, all’inizio della stagione fredda, prima del riposo invernale. Immagini a noi ormai completamente sconosciute, là dove ora è sorto un ipermercato, dove l’unico rumore che si sente è il traffico della strada, là Diego si è formato come uomo. Già in quegli anni disegna, lo si può scorgere all’ombra di un grande albero o rannicchiato su una seggiola, coglie momenti di quella vita, dei luoghi; fissa su fogli improvvisati paesaggi, scorci, animali, frutti, uomini al lavoro, particolari che sono lì per lui. Gli occhi instancabili, la matita per strumento.
Lascia adolescente la campagna per andare ad Omegna, dove i suoi genitori cercano lavoro nelle fabbriche del luogo, diventa adulto improvvisamente quando rimane orfano di padre caduto nella guerra di Grecia. Gli pesano sulle spalle le responsabilità del primogenito e anche lui deve andare a lavorare in fabbrica per aiutare la madre. Sono questi anni di lavoro e grandi sacrifici, cresce comunque in serenità con la sorella e il fratello, sotto la pressione di una madre rimasta vedova troppo giovane, già amareggiata dalla vita prima di aver compiuto i quaranta anni. Ma Diego, alla sera, sul tavolo della cucina, che funge anche da sala, matita e china alla mano, disegna senza tregua. Ne nascono fumetti che raccontano la sua vita, o storie immaginarie, o cronache di guerra.
Conosce la sua Annita in giro in bicicletta, soccorrendola per una ruota bucata, e non la lascerà più. Si sposeranno, entrambi ventiseienni, e cominceranno la loro vita insieme, che trascorreranno sempre ad Omegna.
Continua il lavoro in fabbrica ma dopo pochi anni ha l’occasione di lavorare in uno studio tecnico e così il disegno diventa, oltre che passione, anche lavoro.
Tutte le ore libere saranno sempre e comunque dedicate alla pittura, tele che vengono riempite in una domenica, fogli bianchi che catturano paesaggi durante una passeggiata. Diego non uscirà mai senza la sua “cartella”, fogli lindi pronti per essere utilizzati, e matite, colori a volontà.
Diventerà padre e uno dei primi sorrisi della figlia Erica viene catturato su uno di quei fogli.
Una grave malattia renale a quarant’anni lo obbligherà a lasciare l’impiego. Qualche lavoro gestito da casa lo terrà in parte impegnato, ma il suo grande impegno sarà sempre la pittura, compagna di una vita, che praticherà in un piccolo studio di due stanze di una vecchia casa di sua proprietà nel centro di Omegna. Poche altre notizie rilevanti della sua vita, solo anni di vita tranquilla con la famiglia che gli darà anche la gioia di essere nonno di due belle bambine, la perdita della madre anziana a circa sessanta anni, mesi estivi nella vicina Quarna, vacanze al mare, luoghi dai quali ritornava con cartelle piene di bozzetti. Lo contraddistingue un carattere introverso e non facile, è di poche parole, gli riesce più facile esprimersi con la matita e i colori che con le parole.
Un’altra battuta di arresto a sessantaquattro anni, un aneurisma che lo condurrà sul filo di confine, ma al quale si aggrapperà alla vita. ancora sei anni, faticosi, ma sempre di lavoro, instancabile, la matita e il pennello sempre in mano. A settanta anni però il cuore di Diego non ce la fa più e in una bella sera di metà settembre se ne va. Lascia questo mondo che per lui è stato fonte inesauribile di idee e colori, che ha riportato fedelmente, arricchiti dalla sua sensibilità, sulla tela.
Erica Gibogini, maggio 2012